Post 5 dicembre 2023
C’è un capitolo della storia centenaria della Pasticceria Tagliafico di Genova che sembra scritto da Melville o da Conrad. Perché pochi altri autori hanno saputo raccontare il rapporto fra l’uomo e il mare, come quello che ebbe per protagonista il nostro bisnonno Giacomo negli anni a cavallo fra il XIX e il XX secolo.
L’Italia di allora era un paese povero. La maggior parte della popolazione viveva ancora nelle campagne dove non c’erano terre e lavoro per tutti. Per migliaia di italiani l’unica possibilità di sfuggire alla fame e alla miseria era emigrare. Non nel nord della penisola o dell’Europa come avverrà nel secondo dopoguerra ma oltre oceano, verso le Americhe.
Si è detto molto, nel bene e nel male, dell’emigrazione italiana verso gli Stati Uniti mentre quella verso l’America Latina resta ancora un argomento quasi trascurato. Eppure le speranze di tanti emigranti erano riposte in questo continente, in particolare verso l’Argentina. I primi che l’avevano raggiunta descrivevano una terra fertile come la valle del Nilo con campi di grano e mandrie che si estendevano a perdita d’occhio. Il sogno di pane, lavoro e terra da coltivare convinse tanti a imbarcarsi sulle navi che partivano per Buenos Aires.
Fu su una di queste navi che nel 1890 salì Giacomo Tagliafico. Ma non come emigrante. Quando si imbarcò sulla nave Sirio della compagnia Navigazione Generale Italiana Giacomo era un sedicenne destinato ai lavori in cucina. Non sappiamo se fu lui a scegliere questo incarico. Di certo fu l’inizio di una passione che avrebbe trasmesso a tutti i suoi discendenti.
Il lavoro nelle cucine richiedeva molta forza fisica e di volontà, specie ai ragazzi come Giacomo addetti alle mansioni più umili. Gli spazi erano ridotti, male illuminati e poco ventilati. D’estate il calore dei forni si aggiungeva a quello del clima arroventando ogni oggetto metallico. Non c’erano macchinari e ogni operazione doveva essere svolta a mano su turni di lavoro lunghissimi e con qualunque condizione del mare, anche durante le tempeste.
Si dice che le onde dell’oceano possono farti due cose: sommergerti o sollevarti. Se non riesci a vincere la paura dei muri d’acqua che sembrano capovolgere la nave allora la vita del marinaio non fa per te. Ma se superi queste prove sei pronto ad affrontare qualsiasi sfida, sia per mare che per terra. Le onde sollevarono lo spirito e il carattere di Giacomo. La fiducia in sé stesso lo convinse a studiare il lavoro dei cuochi che lo circondavano. La sua voglia di imparare non passò inosservata e presto ricevette l’incarico di lievista. Oggi questo termine è scomparso dai manuali di cucina ma un tempo il suo ruolo era fondamentale per garantire la perfetta lievitazione degli impasti del pane e dei dolci. Quando Giacomo raggiunse la maggiore età era già diventato pasticciere di bordo e poteva pensare a un futuro anche sulla terraferma.
Il fascino dell’Argentina aveva colpito anche Giacomo. Durante le lunghe soste nel porto di Buenos Aires aveva trovato alloggio nel barrio di La Boca dove si era formata una numerosa comunità italiana. Le aspettative degli emigranti di un lavoro non erano state deluse. Tanti avevano aperto negozi e aziende e conosciuto quel benessere sognato in madrepatria. Soddisfatto il bisogno primario di mangiare tutti i giorni c’era spazio per trovare alla fine dei pasti anche un dolce, non fatto in casa ma preparato da professionisti. Un’opportunità per bravi pasticcieri come Giacomo.
Aprì quindi con un socio una pasticceria ma mantenne il suo lavoro sulla nave Sirio, necessario per finanziare la sua attività ma soprattutto per tornare a Genova dalla sua fidanzata Angiolina. “L’anno prossimo ti porterò con me in Argentina” le ripeteva ogni volta che si imbarcava. Un impegno che entrambi rimandavano. Sapevano che questa scelta sarebbe stata definitiva ed era difficile dire addio per sempre alle loro famiglie e alla terra dove erano nati.
Ma a volte, quando siamo indecisi, è il destino a scegliere per noi. Il 4 agosto 1906 la Sirio urtò con violenza degli scogli nei pressi di Capo Palos, a tre chilometri dalle coste spagnole del Mediterraneo. La collisione fu così forte da distruggere le scialuppe di salvataggio allineate sul ponte. Molti passeggeri vennero scagliati in mare e uccisi già dall’urto con l’acqua. Come in ogni naufragio gli episodi di vigliaccheria si mescolarono alle dimostrazioni di coraggio. Vi fu chi salì su una zattera senza preoccuparsi di chi chiedeva aiuto. Ma altri fecero di tutto per salvare chi stava annegando. Giacomo riuscì a prendere fra le braccia un bambino e a raggiungere la trave di una scialuppa a cui rimase aggrappato per sette ore fino all’arrivo dei soccorsi.
Oggi il naufragio della Sirio è stato dimenticato ma all’epoca il clamore fu enorme. Sarebbe stato superato solo sei anni più tardi dalla tragedia del Titanic. La paura di un nuovo naufragio convinse tanti a rinunciare al sogno delle Americhe. Fra questi anche Angiolina. Lo stesso Giacomo si rese conto che il mare gli aveva dato tanto ma che in un attimo poteva togliergli la sua vita e quella della donna che amava.
L’addio al mare non fu immediato. Passarono ancora degli anni prima che Giacomo riuscisse a mettere da parte i soldi per scendere per sempre a terra e aprire a Genova quella pasticceria che nel 2023 ha celebrato un secolo di attività. Cento anni costellati di tante altre storie da raccontare.
Post 4 ottobre 2020
La notorietà di Simone Canepa (Varazze 1878 - 1919) è legata soprattutto alla spedizione della Stella Polare, nave al comando del Duca degli Abruzzi, che nell'aprile del 1900 raggiunse il punto
più a nord mai raggiunto sino a quel momento.
Grazie a #VassileCiapaiev per averci segnalato questa storia.
Sei di Varazze se........Sai
chi era SIMONE CANEPA:State pensando che da Varazze partivano per mare solo per seguire le facili e battute rotte commerciali e volete mettermi alla prova chiedendomi se c’è mai stato un
esploratore artico varazzino, un collega di Nansen ed Amudsen? Ce l’ho: Simone Canepa.
Nacque a Varazze nell’aprile del 1878 e vi morì nel 1919: prestò servizio in Marina, dove da semplice marinaio arrivò ad essere capitano; durante la prima guerra
mondiale ricevette numerose decorazioni.
La sua notorietà è però in gran parte legata alla spedizione della Stella Polare, la nave al comando del Duca degli Abruzzi, che il 24 aprile 1900 raggiunse la latitudine di 86° 14’, cioé il
punto più a Nord mai raggiunto fino a quel momento, battendo il primato del norvegese Nansen.
Simone era imbarcato come maestro d’ascia, a soli 22 anni: eppure, fu uno dei soli 4, tra tutto l’equipaggio, a compiere l’impresa finale.
Citano i giornali dell’epoca: «12 italiani, 10 norvegesi, 140 cani, 1 baleniera varata nel 1882. Nome della baleniera: Stella Polare (era la baleniera con cui Nansen aveva raggiunto la
Groenlandia, n.d.r.). Dimensione: lungh. 44.7 m, largh. 9.3 m, pescaggio di profondita’ 5.2 m, macchine a vapore di forza cv 250, vel a mare calmo 6 nodi/ora».
Come si svolsero i fatti?
12/6/1899: la nave parte da Cristiania (Oslo) e Nansen stesso sale a bordo, fa gli auguri al Duca degli Abruzzi, e gli regala due cani nati sul Fram.
21/7: la Stella Polare arriva alla terra di Francesco Giuseppe, ma resta imprigionata nei ghiacci.
3/8: la nave si libera e raggiunge la baia di Teplitz.
8/9: il ghiaccio apre una falla nella chiglia: si scarica tutto a terra e si dispera di salvare la nave.
Inverno 1899/1900: la temperatura scende fino a -52°, molti sono vittime del congelamento parziale degli arti.
Marzo 1900: partono 3 gruppi separati dal campo base, con destinazione Nord. Il primo (composto da Ollier, Querini e Stokken) torna indietro, ma si perde tra i ghiacci; anche il secondo gruppo
non ce la fa, ma almeno torna indietro sano e salvo. Il terzo gruppo, composto dal Comandante Cagni, dalle guide alpine di Courmayeur Petigax e Fenoillet e da Simone Canepa, continua a marciare
verso il Polo.
24/4/1900: la spedizione raggiunge la latitudine di 86° 14’ , battendo il primato di Nansen e il giorno dopo torna indietro.
23/6: il gruppo raggiunge la Stella Polare.
3/8: la Stella Polare, liberata dai ghiacci, riparte.
Dicembre 1900: la spedizione rientra in Italia.
A Varazze c’e’ ancora la casa di Simone, con tanto di lapide ad imperitura memoria
Post 3 ottobre 2020
Post 26 dicembre 2019
Estratto dalla intervista di Fioramonti : "Questa è la vera emergenza migratoria. Ogni volta che un laureato va via dall'Italia sono 250.000 euro che se ne vanno delle nostre tasse. Se ha un dottorato sono oltre 300.000. Ci sono nazioni che si fanno forti delle nostre competenze che gli abbiamo regalato e che ci fanno la concorrenza."
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Post 16 febbraio 2019
La Lanterna, simbolo di Genova potrebbe gemellarsi con la Statua della Libertà di New York. La luce del faro che vigila sul porto di Genova era l’ultima luce che vedevano i migranti quando lasciavano l’Italia, mentre la prima immagine dell’arrivo in America era propria quella della statua che domina Ellis Island.
Post 14 febbraio 2019
L’industria vitivinicola dell’Uruguay sta registrando una grande crescita. Ci piace pensare che questo successo sia dovuto anche al lavoro di tanti liguri che emigrarono in Uruguay portando con sé antiche tradizioni (prima fra tutte la farinata che si festeggia a Montevideo il 28 agosto).
Post 3 agosto 2018
Quasi ogni famiglia ligure ha antenati che emigrarono per cercare lavoro. Alcuni di essi divennero particolarmente famosi. Eccone alcuni.
Nancy Pelosi, Speaker al Congresso Americano. Madre originaria di Rovegno (Ge)
Amedeo Pietro Giannini, fondatore della Banca d'America e d'Italia. Originario di Favale di Malvaro (Ge)
Pepe Mujica, ex Presidente dell'Uruguay. Origine dei nonni materni di Favale di Malvaro (Ge)
George Moscone, Sindaco di San Francisco negli anni 70. Origini famigliari di Fontanarossa (Ge)
Julio Maria Sanguinetti ex Presidente Uruguay. Origini famigliari di Chiavari
Frank Sinatra, "The Voice" la cui madre era di Lumarzo (Ge)
Se avete notizia di emigrati liguri famosi scriveteci. L'elenco verrà poi pubblicato sul sito di Zenet e chissà che si faccia una bella festa con qualcuno di loro.
Grazie!